Testo di saverio verini

Edicola (latino aedicula) - Da aedes, che al singolare indica la casa dell’uomo, al plurale la dimora degli Dei, tempio, cioè la casa per eccellenza. Tempietto o baldacchino, sotto il quale era collocata la statua di una divinità, ed anche stipetto di legno in forma di tempio, nel quale si riponevano i busti di famiglia e le divinità tutelari […].
(Definizione tratta dal vocabolario etimologico Pianigiani)

Un approccio filologico – senz’altro più prudente, per quanto difficilmente esauribile nello spazio di poche battute – suggerirebbe di affrontare il tema dell’edicola votiva a partire da epoche remote, risalendo alle tracce ereditate da secoli rigorosamente targati “a.C.”. Ma le vicende che hanno portato all’ideazione di NASR – Nuove Aree di Sosta Religiosa, progetto col quale gli artisti Lorenzo Cianchi e Michele Tajariol si sono aggiudicati la prima edizione del bando Kilow’Art, evocano precedenti meno datati. Napoli, a due passi da piazzetta Nilo: al centro di un tabernacolo a regola d’arte, del tutto simile a un tempietto, si trova l’immagine del calciatore Diego Armando Maradona, massima icona della napoletanità. L’effigie di Maradona, circondata da rappresentazioni di scudetti e trofei vinti dal Napoli durante la sua militanza, così come da immagini devozionali (San Gennaro, c’è da scommetterci), non si limita a custodire una reliquia – si dice che il tabernacolo sia stato fondato a partire da un capello del “Pibe de Oro” –, ma è l’emblema di una contaminazione tra sacro e profano, in cui l’edicola votiva si trova a essere un territorio dai confini evanescenti. Il progetto di Cianchi e Tajariol spinge ulteriormente in questa direzione, rendendo ancora più sottile il crinale che separa il significato di “edicola”
– nella sua derivazione etimologica – dalla forma singolare («casa dell’uomo») a quella plurale («dimora degli Dei»).
Gli artisti, nel periodo di residenza trascorso a Sansepolcro, hanno interagito con un gruppo di cittadini della zona, lanciando una proposta di scambio: raccontateci un aneddoto della vostra vita, mostrateci un oggetto al quale siete affezionati e noi li trasformeremo in opera d’arte. Rielaborando così le “mitologie” di dieci persone che hanno accettato questo baratto, Cianchi e Tajariol hanno realizzato altrettante opere tratte dalle storie, dalle suggestioni e dagli oggetti ricevuti, poi incorniciate all’interno di tabernacoli lignei disseminati per le vie del centro della città (in alcuni casi in prossimità delle edicole votive preesistenti, elemento d’arredo urbano caratteristico dei centri abitati d’Italia): il ricordo di una scampagnata in bicicletta a tu per tu con un’aquila diventa una tavola alata rivestita da carta da parati; le memorie di un ex pugile prendono la forma dell’insetto che ne aveva ispirato il nome di battaglia; un LP 33 giri che celebra il movimento studentesco dei primi anni Novanta trova sintesi in un pelouche “ritoccato”. E così via.
Sculture e fotografie, disegni e installazioni formano in questo modo un immaginario esteso e contaminato, frutto di un abbandono al potere evocativo del ricordo: solo in questa maniera NASR poteva tenere a distanza ogni deriva didascalica e liberarsi dal fardello del feticcio fine a se stesso. Custodite nelle teche, ma al tempo stesso esposte al pubblico, le opere/reliquie – trasfigurazione di aneddoti e oggetti personali, «tesoro della vita sopravvissuta»1 – si posizionano a metà strada tra dimensione collettiva e intima contemplazione, generando una laica sacralità.
NASR non si sottrae alla cultura egotista del “self” tipica della società odierna: la memoria individuale di chi ha partecipato al progetto rimane pur sempre un «racconto del passato che scaturisce […] dall’interno di chi ricorda»2.
Ma il lavoro di Cianchi e Tajariol acquisisce una dimensione collettiva nel momento in cui eleva il concetto stesso di trasmissione della memoria a valore universale. In un tempo storico ossessionato dal presente e dall’immediatezza, essere disposti a ricordare è un atto profondamente sociale, prima ancora che un bisogno privato.


Saverio Verini




1 - A. Tarpino, Geografie della memoria. Case, rovine, oggetti quotidiani, Einaudi, Torino 2008, p. 52
2 -Ibidem, p. 237

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